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Il Terzo Settore di fronte all’EMERGENZA COVID: un primo bilancio

emergenza forse non è la parola più corretta per definire la situazione pandemica nella quale ci siamo trovati immersi. Il Terzo settore, così come la politica, le amministrazioni pubbliche e la società nel suo complesso sono state “travolte” da un avvenimento inaudito e assolutamente straordinario per le sue dimensioni qualitative e quantitative. Dentro questo quadro le emergenze, prima fra tutte la salute pubblica, – ma certamente non l’unica: pensiamo solo al lavoro, ai carichi famigliari e di cura, all’economia, le relazioni, l’istruzione – sono state e sono tuttora tante e di difficile risoluzione. Il Terzo settore, negli ultimi decenni, è molto cresciuto in quantità, diffusione e in qualità, evidenziando alcuni elementi di ricchezza importanti e significativi: la capillare diffusione sul territorio, la penetrazione nelle comunità, la capacità di ascolto e di risoluzione delle domande e dei bisogni. Ma, nello stesso tempo, forse perché molto centrato sul servizio, non ha sviluppato una capacità di interlocuzione politica efficace diventando, come meriterebbe, interlocutore permanente della politica e delle amministrazioni pubbliche. Questo non certo solo per sue responsabilità: il variegato mondo del terzo settore sconta ancora pregiudizi e stereotipie sociali e la politica continua a perpetuare una visione del pubblico delimitata dentro i confini delle amministrazioni, dimenticando che tutto concorre alla costruzione del pubblico, in modo particolare il terzo settore proprio per le sue caratteristiche e finalità. Dentro lo scenario straordinario della pandemia queste criticità si sono evidenziate in tutta la loro crudezza: gran parte del terzo settore non è stato interpellato né coinvolto nelle situazioni emergenziali. Il nostro mondo, proprio per le sue peculiarità e ricchezze, avrebbe potuto essere un concreto e significativo aiuto nella risoluzione dei problemi piccoli e grandi che abbiamo tutti vissuto e che tuttora viviamo, garantendo nello stesso tempo la tenuta sociale delle nostre comunità che, ricordo, è l’elemento imprescindibile, fondato sulla fiducia, di ogni costrutto sociale. Tutto questo mi fa pensare che dovremo rivedere le relazioni istituzionali tra politica, amministrazioni e società civile per ricostruirle e rifondarle su basi di riconoscimento più strutturate e coerenti. Nello stesso tempo è sempre più necessario che il Terzo settore sia capace di elaborare, in forma partecipata e condivisa al proprio interno, proposte politiche forti in grado di rovesciare o almeno modificare definitivamente la visione limitata che la politica ha maturato sul nostro mondo. Non può più essere accettabile che l’unico interlocutore sia la Protezione civile (realtà alla quale riconosco l’importanza): le tante realtà sparse sul territorio avrebbero potuto lavorare, nel rispetto dei dispositivi, per offrire sostegno e aiuto, accompagnamento e ascolto garantendo, nello stesso tempo, la sua sopravvivenza ed offrendo spazi di solidarietà e di co/partecipazione al bene pubblico, anche da parte di soggetti deboli che, invece, sono stati dimenticati. Molte organizzazioni hanno cercato in questi mesi, in modi senz’altro creativi ed innovativi, di continuare le proprie attività promovendo informazione, formazione, attività di solidarietà e di sostegno, mantenendo viva e partecipata una rete ed un tessuto sociale fondamentali – penso solo a titolo esemplificativo ai Gruppi di acquisto, alle attività con le persone disabili o fragili. Forse, anche per noi, è arrivato il momento di uscire dalle nostre autoreferenzialità e lavorare affinchè la rete delle organizzazioni di terzo settore impari a costruire permanentemente forme di coprogettazione condivisa per sostenersi e garantire risposte coerenti ed efficaci alle nostre comunità

di Erica Mastrociani

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